mercoledì 8 giugno 2011

Carissimo Pinocchio...

Riporto qui di seguito la postfazione del critico autore ed editore di fumetti Andrea Baricordi alla versione a fumetti di Pinocchio del padre dei manga Osamu Tezuka.

Pinocchio nella  trasposizione manga realizzata da Osamu Tezuka

Carissimo Pinocchio,
Forse non ti ricorderai di me, eppure ci siamo conosciuti nel 1972, quando io avevo quattro anni e tu ne avevi già circa centodieci, anche se a quel tempo ritenevo che tu fossi più o meno mio coetaneo. D’altra parte, la prima volta che ci siamo incontrati, è stato in occasione dello splendido sceneggiato di Luigi Comencini, e chi ti interpretava aveva appena cinque anni più di me: un fratello maggiore, in pratica. In quel periodo la campagna era parte integrante del mio mondo, per cui, quando seguii le tue avventure, non feci alcuna fatica a ritrovarmi nelle ambientazioni rurali scelte dal regista per narrare la tua storia. È molto probabile che sia questa la ragione per cui non ho mai considerato le tue avventure come una favola nel senso classico del termine, anche perché in quell’occasione quasi tutto il ‘magico’ veniva ricondotto in qualche modo a effetti collaterali della realtà scrutati dal punto di vista di un bambino. Gli stessi personaggi che nel romanzo originale erano veri e propri animali dotati di intelletto, in quello sceneggiato erano rappresentati come persone, in cui solo il comportamento li qualificava di volta in volta come gatti, volpi, faine, lumache, gufi, corvi e così via. Il genio di Comencini permise al romanzo di Collodi di raggiungermi proprio dove mi trovavo, e di farmi capire ogni sfumatura o metafora dell’opera originale.
Già: il romanzo originale di Collodi, al secolo Carlo Lorenzini. Grazie a mio nonno imparai a leggere abbastanza presto, e il primo libro che mi fu regalato, visto il mio entusiasmo per l’argomento, fu proprio “Le avventure di Pinocchio”, dove scoprii con grande stupore tutte le differenze con lo sceneggiato. Per esempio, mentre nella versione di Comencini la Fata dai Capelli Turchini ti aveva dato la possibilità (per esigenze di produzione) di diventare spesso un bambino in carne e ossa, nel racconto originale rimanevi un burattino di legno fino all’ultimo capitolo. O ancora scoprii che, nel romanzo, chi inghiottiva te e Geppetto non era una balena, bensì un pescecane di dimensioni incredibili (molti anni prima di quello di Spielberg) e gli unici che hanno avuto il coraggio di rappresentarlo come tale in un film mi risulta siano stati Benigni e Cerami, mentre la platea ‘gnurànt sghignazzava pensando a una svista epocale. E ancora scoprii che molte parti del romanzo non sono quasi mai state portate in nessun film, cartone, sceneggiato o fumetto, come per esempio quella del Pescatore Verde – un vero e proprio orco marino, forse un tritone – che voleva friggerti in padella, oppure del serpente gigante con la coda fumogena che solo Comencini ha risolto in maniera realistica con un ennesimo colpo di vero genio.
Sarà per questo che poi, nel corso degli anni, pur rifuggendo il collezionismo in tutte le sue forme, mi sono divertito a raccogliere molto materiale relativo alle tue avventure. Dalla riedizione del romanzo originale del 1883 con i disegni al tratto di Mazzanti a quello illustrato a colori da Mussino, alle versioni a fumetti di Galleppini o a quella di Jacovitti. Mi mancano ancora quelle, più recenti, di Mattotti e di Staino, ma riparerò presto. Anche i film e i serial tv a te dedicati li ho visti quasi tutti, da quello para-tirolese di Disney a quello barocco di Barron (con gli effetti speciali dello studio di Jim “Muppet Show” Henson!), a quello rococò di Benigni, nonché la serie animata della Nippon Animation e quella semi-horror della Tatsunoko. Mi manca il film del 1911 di Antamoro (e non so proprio come farò a trovarlo), e sono attualmente alla caccia della versione teatrale di Carmelo Bene, mentre devo ancora prendere una decisione in merito al musical, ma tanto prima o poi so che capitolerò. Poi, tanto per non farmi mancare nulla, mi ci sono messo pure io a infilarti di qua e di là nei miei fumetti, in uno dei quali mi sono divertito a farti incontrare con il nipote giapponese del più celebre ladro gentiluomo francese.
Un paio di settimane prima di scriverti questa lettera, Carlo Fruttero ha definito il tuo romanzo un’opera monumentale, “una cattedrale”, per dirla con le sue parole, mentre appena un secolo prima Benedetto Croce spiegò agli italiani del perché la tua storia rientra di diritto fra i più importanti libri della letteratura italiana.
Benché tutto il romanzo costituisca una parabola, e voglia a suo modo fornire una morale e una serie di linee guida, è sempre stata opinione comune dei lettori di ogni età che l’unico vero Pinocchio è sempre stato il discolo di legno, non il bravo bambino che saresti diventato alla fine, grazie al premio (magnanimamente?) concesso della Fata Turchina. Io vivevo con grande irritazione e orrore la finta indifferenza della Fata Turchina nei tuoi confronti, quando, inseguito dagli assassini, lei non si degnava di aprirti la porta di casa, lasciando perfino che ti impiccassero. Dico, va bene che eri un burattino e non rischiavi davvero la pelle, ma costringerti a subire l’esperienza di un’esecuzione solo per darti una lezione di vita la trovai una cosa davvero discutibile. Per non parlare poi degli scherzi di cattivo gusto, come quando fece finta di non riconoscerti sull’Isola delle Api Industriose (dico, eri un senzatetto mezzo naufrago, e quella pretendeva che tu lavorassi prima di rifocillarti) o, capolavoro di crudeltà, quando finse di essere morta, con tanto ti lapide ed epitaffio in cui, nientemeno, ti incolpava della sua dipartita. Dammi retta, fate così forse è meglio perderle che trovarle, e spero in tutta sincerità che le sia costata un richiamo ufficiale dal Consiglio delle Fate.
Vedi, il fatto è che ai miei occhi di bambino non eri una persona cattiva, ma solo incapace di distinguere su cosa fosse giusto e cosa no. Io un po’, nel mio piccolo, ci riuscivo già. Ma come potevi farlo tu? Sei nato saltando a piè pari tutta l’infanzia, e il secondo giorno di vita ti sei trovato allo sbaraglio in un mondo pronto a ingannarti e a deludere le tue entusiastiche aspettative. Non c’era bisogno di fate che ti promettessero meraviglie. Sarebbe stato sufficiente che gli adutlti ti avessero seguito un po’ di più prima di abbandonarti a te stesso e alla tua inesperienza. Ecco perché mi sentivo molto a disagio quando mi rendevo conto che stavi andando a cacciarti nei guai inutilmente, come la volta dell’abbecedario o quell’altra in cui ti sei fatto abbindolare da Lucignolo. Non avevi un metro di giudizio, altro che ‘discolo’. E mi dispiaceva molto per Geppetto, che non meritava certo di finire a sua volta in guai ancora peggiori per proteggerti. Ma, con la stessa intensità, mi infuriavo quando venivi preso in giro per la tua ingenuità (non potevano aiutarti, invece?) o quando il tuo impegno e il tuo coraggio venivano travisati e finivi dalla padella alla brace senza meritarlo. Le tue avventure mi hanno messo sull’avviso di quello che anch’io avrei potuto trovare là fuori, una volta uscito dal guscio protettivo della mia famiglia. E grazie a te ho anche iniziato a mettere insieme un po’ di quella che viene chiamata coscienza, evitando di prenderla a martellate quando mi parlava, come invece facesti tu con il Grillo Parlante, altra vicenda in cui trovai il tuo comportamento riprovevole. E proprio mentre pensavo a quanto eri stato cattivo quella volta, scoprii che io ero l’ultimo a poterti giudicare. Un Natale mi regalarono le statuine (non c’erano ancora le action figures, quand’ero piccolo io) de “Le avventure di Pinocchio”, ma dato che non erano come quelle che avevo visto in tv, mi arrabbiai, protestai, e le spinsi via, invece di ringraziare. Mi ero comportato esattamente come te, quando Geppetto aveva tentato di sfamarti con un paio di pere, unico cibo a disposizione ottenuto dopo una notte in carcere, e tu le avevi rifiutate. Poi, subito dopo, a causa dei morsi della fame, mangiasti tutto senza alcun ritegno, bucce e torsoli inclusi. Che vergogna! Tornai subito a scusarmi, presi le mie preziose statuine de “Le avventure di Pinocchio” e ci giocai fino quasi a consumarle. Tutt’oggi a quarant’anni di distanza, ne ho ancora qualcuna. Subito dopo quel fatto, mio nonno mi intagliò un Pinocchio nel legno – che conservo con affetto ancora oggi – e lo fece con braccia e gambe snodate. Ero felicissimo. Avevo ottenuto ben più di quello che avevo sempre desiderato, e tutto scusandomi per un comportamento sbagliato. Che lezione che mi ha dato, il signor Collodi!
Insomma, carissimo Pinocchio, ti scrivo questa lettera per ringraziarti di avermi accompagnato tanti anni; di avermi aiutato a comprendere che spesso i buoni e i cattivi non sono così ben distinguibili gli uni dagli altri; che prima di elargire giudizi su qualcuno è sempre necessario conoscere il suo punto di vista e la sua storia; e di avermi indirizzato verso la lettura, un’attività utile e piacevole che poi ho trasformato trasversalmente in un mestiere, grazie al quale ora io e i miei amici possiamo pubblicarti nella versione di Osamu Tezuka, un altro ‘papà’ tuo e nostro a cui dobbiamo tanto, forse tutto.
Un caro saluto da tuo fratello minore.
Andrea Baricordi

P.S.: mi auguro che la bottega di falegnameria che ti ha lasciato Geppetto continui a darti grandi soddisfazioni. In questo paese di gatti, volpi, fate, omìni di burro, pescecani e paesi dei balocchi, ci si riempie la bocca con parole come arte, il più delle volte a sproposito, mentre ci sarebbe invece un gran bisogno di un ritorno al sano, buon artigianato. In qualunque campo.

P.P.S.: spero ti faccia sapere che per l'edizione italiana, la tua storia disegnata da 'papà' Osamu ha ottenuto l'onore del patrocinio della Fondazione Collodi, con tutto ciò che ne consegue sul fronte della sua importanza letteraria. Io sono molto contento. E tu?